giovedì 13 maggio 2010

CRISI DELLA GRECIA O CRISI DELL'EUROPA?



Da alcuni giorni pensavo di dedicare un piccolo spazio alla grave crisi greca. Lo spunto mi è stato dato da uno studente della facoltà di Scienze Politiche. Iscritto al corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali ed Europee, Vincenzo Bruno è ora impegnato in una ricerca proprio sulla Grecia. Alla proposta di buttare giù due righe per il mio blog, ha subito dato la sua disponibilità. Riporto di seguito l'articolo scritto in collaborazione con lo studente.

Estensione fino al 2014 del blocco degli stipendi dei lavoratori pubblici, tagli alla spesa pubblica, aumento dell'Iva al 23% ed incremento al 10% su carburanti, alcolici e sigarette. Sono queste alcune delle drastiche misure del piano di austerità adottato dal governo greco, guidato dal socialista Papandreou, per far fronte alla terribile crisi economica-sociale che sta colpendo il paese. L'obbiettivo è quello di riportare entro il 2014 l'attuale rapporto deficit-Pil (la differenza tra i costi dell'aministrazione statale e le entrate derivanti dalle imposte dirette e indirette versate da imprese e singoli cittadini), pari al 13,6%, nei limiti del 3% imposti dal trattato di Maastricht. Nello stesso periodo il governo intende risanare il debito pubblico del Paese che oggi equivale al 115% del Pil. Ma come è possibile che un Paese dell' Unione europea monetaria vada in default? E soprattutto quali saranno le conseguenze per gli Stati membri che si trovano in condizioni simili? Le ragioni della crisi greca sono riconducibili ad un decennale malgoverno strutturato che, attraverso la continua richiesta di continui prestiti a tassi esageratamente alti, ha aumentato il debito pubblico. La politica economica condotta dai governi ellenici è stata incapace di rilanciare i processi produttivi tanto da falsificare i bilanci dello Stato. Pratiche di "finanza allegra", aumento del livello di disoccupazione e corruzione negli apparati politico-amministrativi hanno contribuito ad appesantire un sistema già poco autosufficiente, generando la diffidenza dei mercati internazionali.
Questa situazione è stata amplificata dalla crisi economico-finanziaria globale. Tuttavia la situazione greca non può essere osservata analizzando solo i conti pubblici ma necessita di essere contestualizzata nell'intera struttura della Comunità europea monetaria. Come sostenuto da alcuni economisti italiani, il primo dato che emerge dal confronto dei paesi dell'area euro è un importante squlibro commerciale che genera per alcuni Stati membri rilevanti avanzi commerciali (vedi Germania) e per altri consistenti disavanzi esteri (vedi Grecia). Tra questi ultimi troviamo il Portogallo, l'Italia, l'Irlanda, la Grecia, la Spagna che spesso vengono etichettati con l'acronimo PIGS per via della loro non brillante codizione economica. Il motivo cruciale di questi squilibri commerciali è proprio la capacità di alcuni paesi come la Germania di invadere i mercati esteri e l'imposbilità degli altri di competere. I Paesi con elevato debito estero, per rendersi più competitivi e per compensare gli aiuti ricevuti, sono costretti a diminuire i salari e a ridurre la spesa pubblica. Condizioni che alimentano tensioni sociali e di sicuro non risolvono il problema degli squilibri. Per questo motivo la crisi della Grecia non può essere considerata il fallimento di uno stato membro dell'Unione monetaria, ma rappresenta il fallimento dell'intero assetto eurpoeo. Un sistema istituzionale che non riesce a definire politiche compensative di tali squlibri e nel quale i costi del riequilibrio sono scaricati solo sui paesi in disavanzo.