giovedì 15 luglio 2010

"ADULTERIO DURANTE IL MATRIMONIO": CONDANNATA ALLA LAPIDAZIONE

"Per favore aiutateci a porre termine a questo incubo e a non farlo diventare realtà. Spiegare i minuti e i secondi delle nostre vite è molto difficile. Le parole perdono il loro significato in questi momenti di agonia. Aiutateci a salvare nostra madre".



E' questo l'ultimo drammatico appello lanciato qualche giorno fa da due ragazzi iraniani. Sajjad e Farideh hanno rispettivamente 20 e 16 anni. Sono giovani. Ma la realtà, quella più cruda, l'hanno già guardata in faccia ed ora vogliono una sola cosa: salvare la loro mamma.

Occhi neri e volto pallido incorniciato dal tipico velo islamico, nero e senza fronzoli. Questo è il ritratto di Sakineh Mohammedie Ashitiani, un nome che ormai è sulla bocca di tutti. Ma come potrebbe essere altrimenti?

Sakineh ha solo 43 anni e sulla sua testa pesa un'accusa di adulterio. Detenuta nel braccio della morte del carcere di Tabriz, nord-ovest dell'Iran, l'accusa risale al maggio 2006. In quell'occasione alla donna si imputava di aver avuto rapporti extra coniugali con due uomini. Ma la confessione le era stata estorta con 99 frustate corporali. La condanna arrivò solo nel 2007. E davanti al tribunale ritrattò quanto detto precedententemente. La Corte Suprema però non volle sentire ragioni e in quello stesso anno stabilì che l'adulterio dovesse essere punito con la lapidazione, come previsto dal codice penale islamico. Quella di tradimento coniugale apparve a molti un'accusa piuttosto debole, soprattutto se si considera che suo marito fosse già morto e che non esistessero prove sul tipo di rapporto che la donna avrebbe avuto con i due uomini. Su questi elementi si basava la difesa dell'avvocato Mohammad Mostafeihin prima linea per la liberazione di Sakineh. E continua a farlo tuttora. Invano.
Giudicata colpevole la donna fu destinata alla lapidazione, una tortura a cui vengono sottoposte tutte le donne islamiche, quelle fedigrafe, ovviamente. Posta al centro di una pubblica piazza, l'accusata viene internata in una buca e bloccata fino al petto. Successivamente viene colpita con pietre contundenti non tanto grandi ma neppure toppo piccole. La morte non deve essere immediata ma lenta e straziante tale da sopraggiungere solo quando il capo della vittima viene sotterrato dai sassi.

Ma l'opinione pubblica non dimentica e l'8 luglio scorso è arrivata la sentenza dell'Ambasciata iraniana a Londra: Sakineh molto probabilmente non verrà lapidata ma la condanna a morte potrebbe essere comunque eseguita, anche tramite impiccagione, dal momento che il suo avvocato non ha ricevuto alcuna comunicazione ufficiale sulla commutazione della sua condanna a morte.
Il caso di Sahineh ha colpito tutti innescando una mobilitazione internazionale senza precedenti, come quella del gruppo umanitario Amnesty International che si batte per l'annullamento della sentenza tramite una petizione diffusa sul Web. Anche all'interno delle istituzioni iraniane si è aperto un dibattito sulla leggitimità della condanna e sulla vergogna che potrebbe ricadere sulla Repubblica Islamica se la donna vennisse torturata. Una questione di immagine, quindi, più che di diritti umani.

"Condanne di questo tipo verranno attentamente riviste e probabilmente cambiate", ha dichiarato il responsabile dell'ufficio dei Diritti umani a Teheran, Mohammad Javad Larijiani, fratello del presidente del Parlamento iraniano. Insieme i due stanno cercando di arginare la protesta, ogni giorno più forte, che viene non solo dal mondo della politica ma anche da intellettuali, giornalisti, cantanti, premi Nobel, attori, capaci di mobilitare non soltanto l'opinione pubblica ma di fare pressione anche sul governo iraniano che sembra aver preso in considerazione la protesta. Ora che i riflettori sono puntati...

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